VULVOSCOPIA

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Anatomia e zona di trasformazione

La vulvoscopia è parte integrante dell'esame colposcopico con cui condivide le indicazioni. Si tratta di una colposcopia dei genitali esterni e del perineo. Le lesioni svelabili con l'esame vulvoscopico sono numerose: lesioni infettive, flogistiche, degenerative cutanee, lesioni preneoplastiche e neoplastiche. Come per la colposcopia, anche per le lesioni vulvari, per definire le alterazioni epiteliali si utilizza una terminologia specifica.

La Penoscopia è la "colposcopia" del partner maschile, il controllo sotto visione colposcopica, che permette di evidenziare le stesse problematiche rilevabili con la vulvoscopia. Questo esame è indispensabile in caso di MTS, cioè malattie a trasmissione sessuale, ai fini di una completa eradicazione delle stesse.

La vulvoscopia si compone di vari tempi, sempre preceduti da una attenta anamnesi. Dapprima si osserva l'introito,la cute vulvare e perineale ad occhio nudo valutando la presenza di lesioni, la loro localizzazione, dimensione e la eventuale presenza di analoghe manifestazioni in altri distretti cutanei e mucosi; indi se ne valuterà l'estensione, la dolenzia o meno ed infine si valuterà la presenza o meno di linfonodi satelliti. Anche se l'esame. La successiva osservazione vulvoscopica si effettua con il colposcopio, ed oggi,senza usare reattivi. Purtuttavia, tali reattivi, a volte vengono ancora utilizzati per cui ricordiamo tali test. Il test con l'ac. acetico pur non presentando alta specificità, può essere di aiuto nello svelare alcune lesioni altrimenti non visibili. Il test al blu di toluidina o test di Collins, ha ormai un valore storico. Tale colorante nucleare, è un test effettuabile sulla cute vulvare dove dà una colorazione tanto più intensa tanto più è presente materiale nucleare; il test dovrebbe svelare la presenza di tessuto neoplasitico caratterizzato dall'abbondante materiale nucleare, ma dà molti falsi positivi in casi come nel caso di flogosi dove è presente una alta cellularità e conseguentemente molto materiale nucleare, ma vi sono anche falsi negativi come nelle ipercheratosi ,anche neoplastiche, dove il colorante non giunge alle cellule atipiche per lo spessore cheratinico. Altro test poco utilizzato è il test alla fluorescenza con tetracicline. Assolutamente inutile è il test di lugol, anche se quest'ultimo può essere di ausilio per la localizzazione della giunzione squamomucosa (identificabile con la linea di Hart), cioè il confine fra l'epitelio mucoso dell'introito e la cute vulvare. Questo limite è anche visualizzato con l'ausilio dell'acido acetico. Esso potrebbe svelare i casi di "trasformazione congenita" come le DES colposcopiche della cervice, ma che interessano l'introito vaginale. Ad oggi tali caso sono poco indagati e che presentano prevalentemente un interesse scientifico.

Mentre a livello cervicale il clinico ha a disposizione il pap test per meglio definire le lesioni cervicali, a livello vulvare la citologia non è di grande aiuto, per cui di fronte ad una alterazione morfologica degna di approfondimento si ricorrerà all'esame bioptico mirato, meglio se multiplo. Il prelievo bioptico, previa anestesia locale,può essere effettuato con appositi punch (Keye's punch) di diversa misura, con le stesse pinze per biopsia cervicale,con ansa diatermica, o con il bisturi. pinza da biopsia cervicale       punch cutaneo

 

CLASSIFICAZIONI E TERMINOLOGIA

 L'ultima terminologia clinica è quella adottata nel 2011 durante il congresso mondiale della I.F.C.P.C tenutosi a Rio. In questa occasione si è voluta adottare una terminologia sia per la colposcopia ,sia per la vaginoscopia, sia per la vulvoscopia ed infine anche per la osservazione colposcopica intraanale. Questa terminologia, che è ancora in pending,  si occupa della lesione vulvari descrivendone la sede e la morfologia. 

2011 IFCPC Clinical Terminology of the Vulva

Section

Pattern

Basic Definition Various Structure: Urethra, Skene's duct opening, Clitoris, Prepuce, Frenulum, Pubis, Labia maiora, Labia minore, interlòabial sulci, vestibule, vestibular duct openings, Bartholin's duct openings, Hymen, Fourchette, Perineum, Anus, Anal Squamo-columnar Junction (dentate line)

Composition: Squamous epithelium, Hairy, Non hairy mucosa

Normal Findings Micropapillomatosis, Sebaceous glands (Fordyce spots), Vestibular redness
Abnormal findings General principles: size in cms, location
Lesion type:
  • Macule
  • Pactch
  • Papule
  • Plaque
  • Nodule
  • Cyst
  • Vesicle
  • Bulla
  • Pustule
Lesion color:
  • Skin-colored
  • Red
  • White
  • Dark
Secondary morphology:
  • Eczema
  • Lichenification
  • Excoriation
  • Purpura
  • Scarring
  • Ulcer
  • Erosion
  • Fissure
  • Warty
Miscellaneous findings
  • Trauma
  • Malformation
Suspicion of malignancy Gross neoplasm, Ulceration, Necrosis, Bleending, Exophytic lesion, Hyperkeratosis, ;

With or without white , gray, red or brown discolaration

Abnormal colposcopic / other magnification findings Acetoiwhite epithelium, Punctation, Atypical vessels, Surface irregularities
Abnormal anal squamo-colonnar junction (note location in regard to dentate line)

Definitions of Secondary Morphology Presentation

Term Definition
Eczema A group of inflammatory diseases that are clinically characterized by the presence of itchy, poorly marginated red plaques
with minor evidence of microvesiculation and/or, more frequently, subsequent surface disruption
Lichenification Thickening of the tissue and increased prominence of skin markings. Scale may or may not be detectable in vulvar lichenification. Lichenification may be bright-red, dusky-red, white, or skin colored in appearance
Excoriation Surface disruption (notably excoriations) occurring as a result of the ‘‘itch-scratch cycle’’
Erosion A shallow defect in the skin surface; absence of some, or all, of the epidermis down to the basement membrane; the dermisis intact
Fissure A thin, linear erosion of the skin surface
Ulcer Deeper defect; absence of the epidermis and some, or all, of the dermis

Jacob Bornstein, MD, MPA, Mario Sideri, MD, Silvio Tatti, MD,Patrick Walker, MD, Walter Prendiville, MD, and Hope K. Haefner, MD,For the Nomenclature Committee of the International Federationfor Cervical Pathology and Colposcopy

 

La storia delle classificazioni delle lesioni vulvari intraepiteliali è una delle più complesse ed articolate nel campo della ginecologia, una vera e propria torre di Babele, che ha ingenerato una grande confusione terminologica. Ancora oggi si saltella da una classificazione ad un'altra. Esiste una classificazione terminologica vulvare della IFCPC, una classificazione per le dermatosi, una per la classificazione istologica delle dermatosi, una classificazione per le lesioni vulvari intraepiteliali, ed infine una per i dolori vulvari, tutte queste della ISSVD (International Society for the Study of Vulvar Disease).

La classificazione che segue è quella delle lesioni vulvari intraepiteliali (classificazione su base istologica) che ha avuto seguito dopo il congresso mondiale del 2015 e che ha visto l' approvazione finale il 28 giugno 2015. Tale classificazione ha fortunatamente semplificato ulteriormente la pregressa terminologia delle VIN (vulvar intraepithelial neoplasia).

2015 ISSVD Terminology of Vulvar Squamous Intraepithelial Lesions

Low grade squamous intraepithelial lesion ( Flat condyloma or HPV effect )
High grade squamous intraepithelial lesion ( VIN usual Type )
Vulvar intraepithelial neoplasia, differentiated -Type

In questa classificazione, istologica (la diagnosi viene effettuata con la istologia e non con la tipizzazione virale), abbiamo le lesioni intraepiteliali di basso grado (Low grade squamous intraepithelial lesion ( Flat condyloma or HPV effect ) che fanno riferimento alle lesioni condilomatose ed agli effetti citopatici dell'HPV, e che corrispondevano alla vecchia VIN1. Per tale lesioni, è stata estromesso il termine "neoplasia"  (VIN1 o vulvar intraepithelial neoplasia), proprio per il benigno significato clinico e prognostico. Quindi il termine VIN1 è stato abolito,in quanto non vi è evidenza che esso sia un precursore del carcinoma, mentre rimane la terminologia VIN2 e VIN3 che saranno comprese nelle VIN usual type e differentiated type. A seguire ritroviamo le lesioni squamose intraepiteliali di alto grado corrispondenti alle VIN "usual type". Questo tipo di VIN è la più frequente, comprende le pregresse VIN2 e VIN3 Bowenoidi, Basaloidi e miste, è generalmente associata all'HPV16 e e rappresenta  per circa il 20%, 30% i precursori dei carcinomi invasivi e si ritrova più frequentemente nelle giovani donne. Subito dopo abbiamo la neoplasia vulvare intraepiteliale "differentiated type" che è la varietà meno frequente, interessa le donne più anziane, solitamente non associata ad HPV e rappresenta il precursore di circa il 70%, 80% dei carcinomi invasivi. Le VIN unclassified type  (VIN NOS) cioè quelle VIN non inquadrabili con le due categorie suddette, in questa classificazione non è più riportata.

A seguire si elencano le classificazioni passate, che si riportano per meglio comprendere l'origine della terminologia del 2015.

Le classificazioni che seguono sono tutte basate su criteri istologici. Interessante, perchè non basata sulla istologia, è la classificazione, o meglio la valutazione colposcopica proposta da Coppleson e Pixley nel 1992 che descrive la morfologia macroscopica della lesione prendendo in considerazione parametri come aspetto, colore, vascolarità e localizzazione. Questi mitici autori impiegarono tale criterio per la valutazione morfologica-dinamica delle lesioni colposcopiche e che è straordinariamente attuale e di grande valore clinico.

CLASSIFICAZIONI  PRECEDENTI

CLASSIFICAZIONE VULVOSCOPICA DELLE DISTROFIE VULVARI  (ISSVD) 1976
1) Distrofia iperplastica (sinonimi: leucoplachia, vulvite ipertrofica, vulvite leucoplasiforme)
- senza atipia
- con atipia (lieve, moderata e grave)
2) Distrofia ipoplasica o Lichen sclerosus (sinonimi:craurosi vulvare, vulvite atrofica, lichen atrophicus)
3) Distrofia mista
- senza atipia
- con atipia (lieve, moderata e grave)
CLASSIFICAZIONE VULVOSCOPICA DI COPPLESON E PIXLEY - 1992 -
COLORE normale
acetobianco
bianco
rosso
marrone
altra pigmentazione
VASCOLARIZZAZIONE assente
puntato
mosaico
atipica
ASPETTO SUPERFICIALE piatto
con pliche
micropapillare
microcondilomatoso
villiforme
papillare
ipercheratosico (leucoplachia)
TOPOGRAFIA unifocale
multifocale
multicentrico (perianale,uretrale, cervicale,vaginale ecc)

 

 

 

 

 

 

 

 

CLASSIFICAZIONE VULVOSCOPICA  (ISSVD-ISGP) 1987

DISORDINI EPITELIALI NON NEOPLASTICI

Lichen Sclerosus (LS)
Iperplasia a cellule squamose (ex distrofia iperplastica)
Altre dermatosi

NEOPLASIA VULVARE INTRAEPITELIALE (VIN)

FORMA SQUAMOSA

FORMA NON SQUAMOSA

VIN 1 (Displasia lieve) Malattia di Paget
VIN 2 (Displasia moderata) Melanoma in situ
VIN 3 (Displasia severa o carcinoma in situ)  

 

 

  

     

 

CLASSIFICAZIONE VIN  SQUAMOSE (ISSVD) 2004

VIN USUAL TYPE:

a) VIN warty type
b) VIN basaloid Type
c) VIN mixed (warty/basaloid type)

VIN DIFFERENTIATED TYPE

VIN UNCLASSIFIED (VIN NOS)

 

V.I.N. (Vulvar Intraepithelial Neoplasia)

Il termine VIN è l'acronimo di Vulvar Intraepithelial Neoplasia. Tale termine fu coniato all'inizio degli anni 80', e fu ufficializzato nel 1987 per catalogare con un unico riferimento le lesioni displastiche  ed il carcinoma in situ (CIS) della vulva che erano state identificate con morbo di Bowen, displasia bowenoide, eritroplasia di Queyrat, e la vecchia distrofia iperplastica. Inoltre lo scopo era quello di  sostituire i termini atipia lieve, moderata, grave e carcinoma in situ  della terminologia del 1976. La successiva classificazione, nel 2004, introdusse il concetto di VIN Usual Type ( VIN indifferenziate che rappresentano circa il 90% di tutte le VIN) e le VIN differenziated Type ( VIN differenziate e che rappresentano circa il 10% di tutte le VIN). Le VIN Usual Type è correlata generalmente all'HPV (Human Papilloma Virus), interessa una popolazione più giovanile e da essa derivano circa il 30% di tutti i carcinomi vulvari. La VIN differenziata è correlata alle dermatosi croniche, come lichen sclerosus, non è HPV correlata ed interessa una età più avanzata. L'ultima classificazione del 2015 pertanto è sovrapponibile alla precedente, ed in buona sostanza elimina la VIN 1.

Il razionale descrittivo della CIN (Neoplasia Cervicale Intraepiteliale) sino a poco tempo fa è stato utilizzato, allo stesso modo,  per la VIN (Neoplasia Vulvare Intraepiteliale).   La VIN 1, come la CIN 1 presenterà alterazioni nel terzo inferiore dell'epitelio vulvare, e così via, la VIN 2 presenterà alterazioni in circa due terzi mentre la VIN 3 interesserà tutto lo spessore epiteliale senza oltrepassare la membrana basale ( 2003 WHO World Heath Organization ). Bisogna ricordare che in questa classificazione della WHO, vi è anche il Simplex Type VIN che sarebbe un carcinoma in situ simplex type, che ha una descrizione istologica diversa rispetto al classico VIN 3 carcinoma in situ (Squamous vulvar intraepithelial neoplasia, 2004 modified terminology, ISSVD vulvar oncology subcommittee, Sideri et all). Se le cellule neoplastiche attraversano la membrana basale si avrà una neoplasia microinvasiva o invasiva che in rapporto alla sua entità sarà quantizzata utilizzando apposite classificazioni oncologiche. Questa descrizione è istologica ed incontestabile perchè descrive un quadro oggettivo, ma, certamente non  è stato corretto accostare in similitudine la VIN alla CIN in quanto esse rappresentano due realtà totalmente diverse sia come biologia, embriologia che come istologia, ma, soprattutto, hanno un diverso significato clinico e prognostico. La patogenesi vulvare non è sovrapponibile alla patogenesi cervicale. Non vi è evidenza che la VIN 1 abbia un potenziale neoplastico e non vi è riscontro della sua progressione verso la VIN 2 e VIN 3. Pertanto, oggi il termine VIN 1 è stato abbandonato e non si utilizza più. Il termine VIN 1 è stato sostituito dal termine "lesioni intraepiteliali di basso grado" che comprende le lesioni virali da HPV vulvari, cioè le lesioni piatte e citopatiche da HPV (flat condyloma), eliminando così il termine neoplasia insito nella VIN 1 (vulvar intraepithelial neoplasia). Le alterazioni tissutali evidenziabili nella VIN 1 sono di comune riscontro in una serie di patologie vulvari dermatologiche, oltre che HPV correlate . Concludendo il termine VIN rimane solo per le VIN 2 e VIN 3.

L'età media della VIN è intorno ai trenta anni (35 per la VIN 3) e la sua frequenza negli ultimi venti anni anni è più che raddoppiata. Un aiuto alla diagnosi di VIN deriva dal fatto che oltre il 70% delle VIN presentano una sintomatologia (prurito, bruciore) a differenza delle CIN che risultano essere del tutto asintomatiche. Da un punto di vista istogenetico la VIN Usual Type è il precursore del carcinoma squamoso verrucoso e del carcinoma basaloide o basocellulare, mentre la VIN Differentiated Type è il precursore del carcinoma squamoso cheratinizzante ben differenziato.

VULVAR CONDITIONS REFERRED TO AS VIN 1
Squamous epithelial hyperplasia Flat / Papular condylomata
Lichen simplex chronicus Condylomata acuminata
Hyperplastic dystrophy with atypia Keratosis
Lichen sclerosus Vulvar vestibulitis
Seborrheic / Contact dermatitis Psoriasis Candidiasis
Seborrheic keratosis Micropapillomatosis labialis
Adattato da: Colposcopy di Apgar B,Brotzman G., Spitzer M.

CARATTERISTICHE DIFFERENZIALI DELLE V.I.N.

     VIN USUAL      TYPE 

(VIN Basaloide-Warty-Mixed)

Associata ad HPV-DNA (16-18)

Interessa giovani donne (età media 30 anni)

Multifocale -Multicentrica

Stessi fattori di rischio della CIN

Associazione alla CIN

VIN DIFFERENTIATED TYPE

Non associata ad HPV-DNA

Interessa donne meno giovani (età media 50 anni)

Unifocale - Monocentrica

Non associata a CIN e suoi fattori di rischio

Trova i suoi precursori nelle dermatosi croniche come Lichen sclerosus, Lichen simplex, Iperplasia squamosa ,ecc.

 L'associazione VIN - CIN risulta essere abbastanza frequente in pazienti con infezioni da HPV ad alto rischio.  Come ormai risaputo non vi è una progressione da VIN1 a VIN2 a VIN3 a ca invasivo e sembrerebbe che la VIN1 , ma anche la VIN2 siano delle entità diverse, rispetto alla VIN3 e ca invasivo;  La percentuale di regressione della VIN 3 è superiore rispetto a quella della CIN 3: tra 10% e 38% in pazienti al di sotto di 35 anni (Friedrich 1972 e 1980; Skinner 1973); la progressione da VIN3 a carcinoma invasivo è notevolmente inferiore rispetto alla progressione della CIN3, attestandosi tra il 2-4%. Dai dati in nostro possesso si è osservato che il picco di incidenza per età del carcinoma invasivo è di 68 anni (dopo oltre 30 anni dalla media di insorgenza della  VIN3). Questo dato porta a pensare che non sempre vi è una chiara correlazione tra VIN3 e carcinoma, potendo questo ultimo avere una diversa storia evolutiva, almeno in parte. A questo punto bisogna ricordare che nella carcinogenesi cervicale si porta avanti un nuovo paradigma in sostituzione del classico che vedeva l'infezione virale come base di partenza di un percorso che portava alla CIN1 indi alla CIN2, alla CIN3 ed infine al ca invasivo. La nuova visione prevede una via diretta verso la CIN 3 e ca invasivo senza transitare o con brevissimo transito nella condizione di CIN1-2 (McIntyre -Seltman, Kathlen, Comprehensive Colposcopy, Santa Fe NM.Jan 03. Tratto da 40° annual conference reproductive health 2003). Non è escluso che lo stesso possa verificarsi a livello vulvare. Di questa affermazione siamo testimoni quando ci ritroviamo dei carcinomi cervicali che esulano dai tipici schemi cronologici, non avendo un percorso anamnestico classico.

Le manifestazioni cliniche delle VIN riferibili alle lesioni virali sono essenzialmente tre: 1) Papulosi bowenoide. 2) Malattia di Bowen classica. 3) Epitelio acetobianco (G. Davis). Bowen descrisse queste realtà nel 1912. La papulosi bowenoide si presenta con una serie di papule diffuse spesso pigmentate tendenti alla coalescenza che interessano gran parte dei  genitali esterni ed il perineo e solitamente non coinvolge la vagina. Si presenta in giovani donne ed è chiaramente una malattia a trasmissione sessuale spesso osservabile in pazienti immunodepresse, gravide e forti fumatrici. I tipi virali coinvolti sono il 16,18,31, 31 e 33. La classica malattia di Bowen, pur riconoscendo  gli stessi tipi virali, si presenta solitamente come una placca unica generalmente con l'aspetto di un epitelio biancastro di tipo micropapillare e lievemente rilevato; l'età interessata è la sesta decade o oltre. Una terza manifestazione della VIN su base virale è data da aree acetopositive, spesso satelliti della neoplasia invasiva. Questa terza manifestazione però si basa sull'utilizzo dell'acido acetico, che pur di ausilio può presentare numerosi falsi positivi. Ritengo utile valutare la presenza di aree acetopositive solo dopo essersi accertato dell'assenza di micosi o flogosi aspecifiche ( magari dopo aver ricorso ad idonea terapia).  

TERAPIA VIN: Dall'esperienze cliniche si deduce che il trattamento consigliato della VIN Basaloide e Warty  è principalmente il trattamento  distruttivo (anche se l'escissionale è prudenzialmente da preferirsi sempre per la possibilità di una diagnosi istologica più certa ), che ridurrebbe la evoluzione a malattia invasiva dall'80% al 3-4%. Nel caso di VIN Bowenoidi viene anche utilizzata con successo la terapia topica immunomodulante con imiquimod.  La terapia delle VIN Differentiated Type consiste fondamentalmente e preferenzialmete nella chirurgia escissionale al fine di escludere una invasione misconosciuta. Di grande importanza è il preventivo trattamento medico, con corticosteriodei topici ad elevata potenzialità delle patologie dermatologiche croniche precursori di queste ultime VIN; infatti circa il 70% dei carcinomi squamosi invasivi nella donne anziane si associano a patologie dermatologiche  croniche  come il Lichen sclerosus e simplex o iperplasia squamosa datanti da tempo, sintomatiche e non trattate. Bisogna sottolineare che dopo la terapia chirurgica bisogna effettuare attenti follow-up, in considerazione che circa il 50% delle neoplasie vulvari invasive si sono manifestate dopo cinque anni successivi al primo trattamento.

Classificazioni del dolore vulvare ( Vulvar Pain)

La prima classificazione del dolore vulvare è del1999 e fu formulata in occasione del congresso mondiale ISSVD tenutosi a Santa Fe nel New Mexico. Questa classificazione fu riveduta nel 2001 al congresso mondiale ISSVD tenutosi in Portogallo e successivamente rivisitata nell'ottobre del 2003 in occasione del congresso mondiale ISSVD tenutosi in Salvador, Brasil. L'ultima classificazione è del 2015 e nasce dalla collaborazione della International society for the study of vulvovaginal disease (ISSVD), della International society for the study of women'ssexual health (ISSWSH) e dalla International pelvic pain society (IPPS).
 

2015 Consensus terminology and classification of persistent vulvar pain

 Vulvar pain caused by a specific disorder*

• Infectious (e.g. recurrent candidiasis, herpes)
• Inflammatory (e.g. lichen sclerosus, lichen planus, immunobullous disorders)
• Neoplastic (e.g. Paget disease, squamous cell carcinoma)
• Neurologic (e.g. post-herpetic neuralgia, nerve compression or injury, neuroma)
• Trauma (e.g. female genital cutting, obstetrical)
• Iatrogenic (e.g. post-operative, chemotherapy, radiation)
• Hormonal deficiencies (e.g. genito-urinary syndrome of menopause [vulvo-vaginal
   atrophy], lactational amenorrhea)

Vulvodynia

Definition:  Vulvar pain of at least 3 months duration, without clear identifiable cause, which may have potential associated factors.

Descriptors:

  • Localized (e.g. vestibulodynia, clitorodynia)
  • Generalized or Mixed (Localized and Generalized)
  • Provoked (e.g. insertional, contact)
  • Spontaneous or Mixed (Provoked and Spontaneous)
  • Onset (primary or secondary)
  • Temporal pattern (intermittent, persistent, constant, immediate, delayed)
*Women may have both a specific disorder (e.g. lichen sclerosus) and vulvodynia

PRECEDENTI CLASSIFICAZIONI  DEL DOLORE VULVARE

VULVAR DYSESTHESIA (1999) VULVAR DYSESTHESIA (2001)
 

 

- Generalized Vulvar Dysestesia

 

- Provoked Vulvar Dysesthesia

  • Generalized

  • Localized (vestibule, clitoris, other)

 

- Localized Vulvar Dysesthesia

  • Vestibulodynia (formerly vulvar vestibulitis)

  • Clitorodynia

  • Other localized forms of vulvar dysesthesia

     - Spontaneous Vulvar Dysesthesia

  • Generalized

  • Localized (vestibule, clitoris, other)

Santa Fe, New Mexico ISSVD World Congress

 Portugal ISSVD World Congress

 

 ISSVD Terminology and Classification of Vulvar Pain (2003)

A)    Vulvar Pain Related to a Specific Disorder

1)    Infectious (e.g. candidiasis, herpes, etc.)

2)    Inflammatory (e.g. lichen planus, immunobullous disorders, etc.)

3)    Neoplastic (e.g. Paget’s disease, squamous cell carcinoma, etc.)     

4)    Neurologic (e.g. herpes neuralgia, spinal nerve compression, etc.)

 

A)    Vulvodynia

1)    Generalized

a)    Provoked (sexual, nonsexual, or both)

b)    Unprovoked

c)    Mixed (provoked and unprovoked)

2)    Localized (vestibulodynia, clitorodynia, hemivulvodynia, etc.)

a)    Provoked (sexual, nonsexual, or both)

b)    Unprovoked

c)    Mixed (provoked and unprovoked)

 

http://obgyn.med.umich.edu/patient-care/womens-health-library/vulvar-diseases/information

 

VULVODINIA

Un capitolo importante della patologia vulvare è rappresentato dal capitolo delle VULVODINIE, termine di derivazione greca che significa dolore vulvare. Con questo termine si suole indicare una condizione di disconfort vulvare ad eziologia incerta, in cui sono rappresentati con varia intensità e spesso coesistenza i seguenti sintomi che interessano i genitali esterni femminili: bruciore, sensazione di irritazione,di disepitelizzazione,di secchezza vulvare, sensazione puntoria, pulsatoria, di tensione,stiramento e dolore. Questi sintomi possono essere condensati in un altro termine utilizzato dagli anglosassoni per tale patologia: DISESTESIA (vulvar dysesthesia), dove per disestesia si intende una alterata percezione degli stimoli esterni che in questo caso sono amplificati e generano una condizione di esasperata ipersensibilità. Si parla di vulvodinie quando questo corteo sintomatologico non è riconducibile a precise cause microbiologiche o ad altre note e ben inquadrabili patologie. In conclusione non si possono inquadrare come vulvodinia specifiche vulvovaginiti, o patologie come lichen e dermatosi note, anche se la vulvodinia può essere contemporaneamente presente ad altre paologie come per es. il lichen sclerosus. Spesso molte di queste patologie sono associate alla vulvodinia; per esempio le vulvovaginiti cicliche, inquadrate, in precedenza, come un particolare tipo di vulvodinia, sembrano avere un' associazione con le candidosi. Questa associazione consiste nel fatto che la sintomatologia che inizia in occasione di vulvovaginiti recidivanti di candida, poi permane anche in assenza del micete. Si ipotizza che la condizione di flogosi ripetuta possa innescare un perpetuarsi della sintomatologia anche in assenza del patogeno. Tale teoria è coniugabile anche con altre noxe patogene sia infettive che di diversa natura. Si è anche ipotizzato che le terapie ripetute possano essere corresponsabili dell'origine delle vulvodinie. Questo è l'inquadramento dell'International Society for the Study of Vulvovaginal Disease (ISSVD) proposto nel congresso mondiale del 1999 a Santa Fe in New Mexico e riconfermata al congresso mondiale in Portogallo del 2001. Sempre secondo l'ISSVD la vulvodinia riconosce due forme: la VESTIBULITE VULVARE (vulvar vestibulitis) e la VULVODINIA ESSENZIALE (dysesthetic vulvodynia). ( In precedenza la forma di vulvodinia definita vulvovaginite ciclica, sopra menzionata,costituiva una classe a se stante. Questa forma comune di vulvodinia interessa il vestibolo e si manifesta ciclicamente e più spesso durante la fase luteale in cui sembrerebbe più facile una reazione di ipersensibilità agli antigeni di Candida). La VESTIBULITE VULVARE è meglio definita con una condizione di dolore vulvare, elettivamente localizzato a livello vestibolare e che insorge dopo che tale area e sottoposta a stimoli. Il vestibolo vulvare è l'area compresa fra l'anello imenale internamente e la linea di Hart esternamente (giunzione squamomucosa), mentre superiormente è delimitata dal clitoride ed inferiormente dalla cute perineale della forchetta o fossa navicolare; in questa area hanno sbocco le ghiandole maggiori di Bartolino e di Skene e le ghiandole minori accessorie.

Fu Friedrich che nel 1987 evidenziò i criteri che caratterizzano ed identificano tale patologia:

1) Dolore acuto nella zona vestibolare conseguente a stimoli tattili o conseguente alla penetrazione vaginale (coito o tamponi);

2) Ipersensibilità alla pressione nella zona vestibolare ed accentuata maggiormente in punti particolari come gli sbocchi delle ghiandole del Bartolino e di Skene, la forchetta e clitoride;

3) Presenza di aree di eritema vestibolare diffuso, o localizzato in piccole aree (vestibulite focale) come unico, ma non sempre presente, segno di alterazione clinica alla ispezione.

Nella vestibulite il sintomo principale è il dolore conseguente alla penetrazione (dispareunia) o alla inserzione di tamponi, ma i fastidi sono conseguenti anche all'uso di bicicletta, moto, dopo jogging o,nei casi più gravi alla semplice deambulazione. Spesso dopo rapporti sessuali si manifestano fastidi urinari come disuria e bruciore (uretrite postcoitale) senza che vi siano segni di laboratorio deponenti per infezione urinaria. Nella vestibulite sono rare il prurito e le lesioni da grattamento essendo il dolore il sintomo principale che non permette il grattamento. Il test che si effettua per la diagnosi è lo swab test che consiste nel pressare con la punta di un cotton fioc specifici punti del vestibolo, azione che in caso di vestibulite provoca una netta sensazione algica. La sua insorgenza può conseguire ai primi rapporti sessuali (vestibulite primaria) o successivamente al cambio di partner, terapie fisiche vulvari, parti vaginali, e pregresse vulvovaginiti ricorrenti da candida (vestibulite secondaria). La localizzazione può interessare il vestibolo, in toto od in parte o elettivamente il clitoride (clitoridodinia) o la forchetta. I sintomi possono persistere per mesi o anni per poi scomparire spontaneamente o dopo terapia. La lidocaina, un anestetico, mitiga la sintomatologia nelle vestibuliti ma non nelle vulvodinie essenziali. La VULVODINIA ESSENZIALE è una condizione di iperestesia o esagerata sensibilità che interessa diffusamente tutta la vulva interessando spesso la cute perineale ed accompagnandosi a disturbi rettali ed uretrali. La sensazione di bruciore, prurito, pizzicore e meno frequentemente dolore, non è indotta e ben delimitata come nella vestibulite, ma è spontanea, sorda, continua con piccole remissioni ("spontaneous vulvar dysesthesia"). Il prurito, cui seguono lesioni da grattamento,ha spesso un inizio repentino il più delle volte non riferibile a precisi input. I sintomi sono paragonabili a quelli di una nevrite posterpetica o ad interessamento del nervo pudendo (pudendal neuralgia). Le pazienti interessate sono spesso in perimenopausa o menopausa, mentre nelle sindromi vestibolari l'età è generalmente inferiore. L'esame clinico non evidenzia alcuna lesione. I fastidi coitali non sono riferiti preminenti come nella vestibulite, e spesso vi è una diminuzione della libido.

Le vulvodinie frequentemente si accompagnano a disturbi psicologici, limitazione delle attività quotidiane, e disfunzioni sessuali con la necessità della sospensione dei rapporti sessuali e conseguenti ripercussioni nella relazione con il partner. L'assenza di segni obiettivi eclatanti e la eziologia sconosciuta non ha giovato a dare alle vulvodinie l'attenzione meritata, confinandola spesso ad una esclusiva malattia psicosomatca. Bisogna ricordare che la segnalazione di tali sindromi risale già nel 1880, quando Thomas IG in un lavoro sulle malattie femminili descrisse questa condizione di "ipersensibilità vulvare", e successivamente considerata da altri clinici come Skene AJC nel 1889 e da Kelly HA nel 1928. Successivamente,dopo molti anni di oblio, in considerazione della crescente attenzione ed interesse, la ISSVD costituì un gruppo di studio che dal 1985 si occupa di vulvodinie. Pur rimanendo incerta una precisa eziologia, numerosi dati correlano le vulvodinie a diverse condizioni: 1) spesso conseguono a vulvovaginiti da candida recidivanti, anche se la ricerca del micete è negativa o con una carica tale da non giustificare la sintomatologia e senza i segni clinici classici della vaginite micotica. Si è ipotizzato che i fastidi siano riconducibili ad una ipereattività dell'organismo ad antigeni della candida, o che questa dia l'input ad una particolare reazione immunologica. Si creerebbe così una condizione simile alle infezioni da streptococco dove si innesca una reazione immunologica - autoimmunitaria tipica della malattia reumatica; 2) fattori genetici e razziali. Da studi epidemiologici le bianche caucasiche sono quelle più coinvolte nelle vulvodinie. L'età è compresa fra 20 e 60 anni e il livello socioeconomico è medio - alto.; 3) disordini immunitari; 4) neuropatie. Si è osservato che le terminazioni nervose sensitive, più rappresentate nella regione imenale, sono libere e non capsulate o amieliniche e pertanto maggiormente recettive; inoltre attorno a tali terminazioni sensitive coesiste una ipervascolarizzazione. Queste sono osservazioni che potrebbero giustificare la presenza di eritema (su base vasomotoria neurogena) spesso focale nelle vestibuliti e la iperestesia nella vulvodinia essenziale. Ricordiamo che nella innervazione della vulva sono coinvolti il nervo pudendo, l' ileoinguinale ed i rami genitali del genitofemorale. A tal proposito alcuni autori ipotizzano che la iperestesia potrebbe essere causata anche da traumi sui plessi nervosi,conseguenti al parto o successiva a manovre chirurgiche ; 5) sostanze chimiche come farmaci ed eccipienti, additivi chimici, deodoranti, saponi, coloranti tessili ecc. possono essere causa di vulvodinie fungendo da irritanti o allergeni; 6) associazione con la cistite interstiziale (anch'essa ad etiologia incerta). In considerazione della comune embriogenesi del vestibolo dell'uretra e parte della vescica (entoderma) e della frequente associazione vulvodinia - cistite interstiziale si è ipotizzato uno stretto legame fra le due condizioni. Sembrerebbe che l'ossalato di calcio urinario, in eccesso, irriti la mucosa vescicale ed il vestibolo; 7) HPV. In considerazione che negli anni 80' l'HPV era stato considerato come una possibile causa di vulvodinie e che in quegli anni si creò grande allarmismo nei confronti di quella entità, tardivamente riconosciuta come fisiologica e rappresentata dalle papille dell'introito vaginale, si diede vita ad uno "sterminio" di queste papille con diatermocoagulazioni e trattamenti laser CO2. La conseguenza di questi trattamenti fu quella di aggravare la sintomatologia delle vulvodinie, e ancor peggio instaurare ex novo tale sintomatologia, dove questa non era presente ( forse questa forma di vulvodinia iatrogena è ,per assurdo, l'unica di cui ne intuiamo una causa certa !!). Si menziona il papillomavirus solo per sottolineare che i dati di letteratura anche se scarni, non sono a favore della eziologia virale della vulvodinia, sia perchè non si tratta di un virus neurotropo, sia perchè il riscontro dell'HPV-DNA è irrilevante nella cute e mucose di pazienti affette da vulvodinia; 8) HSV. L'Herpes di tipo 1 e 2 , ma ancor più lo Zooster sono certamente neurotropi e pertanto possono determinare una neuropatia responsabile della vulvodinia; 9) Ormoni. Di frequente vi è un ritmo cronologico costante nella sintomatologia, per cui si invoca l'influenza ormonale nel suo determinismo. La cronobiologia,una branca della medicina che si occupa dei ritmi biologici dell'organismo (ritmi circadiani, mensili, annuali ecc.) potrebbe avere, a mio avviso un ruolo importante nella ricerca scientifica riguardo le vulvodinie. Si spera che la ricerca scientifica dia delle risposte che permettano un  inquadramento più preciso di tale sindrome che interessa un numero sempre maggiore di donne.

La TERAPIA delle vulvodinie consegue ad una attenta anamnesi,osservazione ed accertamenti diagnostici per escludere tutte quelle patologie ad etiologia nota erroneamente inquadrate come vulvodinie primitive. Spesso la diagnosi di molte vulvodinie è una diagnosi di esclusione. Risulta importante la collaborazione con il dermatologo e con lo psicologo. Le patologie da escludere sono riportate nella tabella sottostante.

Le terapie utilizzate possono essere farmacologiche, riabilitative, chirurgiche.

FARMACI UTILIZZATI NELLE VULVODINIE

TERAPIA MEDICA
Antidepressivi triciclici (Amitriptiplina, Nortriptilina, Desipramina)

Agiscono sulle terminazioni nervose vulvari inibendo il re-uptake dei neurotrasmettitori (norepinefrina e serotonina)

Antiepilettici (Gabapentin, Carbamazepina)
Infiltrazione con cortisonici (Triamcinolone) , anestetici (Bupivicaina) o Interferon

Anestetici locali in crema o gel. Cortisonici topici. Estrogeni. Antivirali ed Antimicotici., Capsacina (estratto di peperoncino)

La lidocaina mitiga la sintomatologia nelle vestibuliti ma non nelle vulvodinie essenziali. Può essere di ausilio nel facilitare i rapporti sessuali con altri accorgimenti. 

Farmaci vari di origine naturale ed omeopatica sono utilizzati spesso con successo.

TERAPIA FISICA

Elettromiografia e Biofeedback sulla muscolatura del pavimento pelvico in caso di ipercontrattura. Elettrostimolazione tibiale 
TERAPIA PSICOLOGICA DI SUPPORTO
CONSIGLI IGIENICI E DIETETICI
Dieta povera di ossalati ed integrazione di Calcio citrato ed acidificanti urinari
TERAPIA CHIRURGICA
Vestibulectomia sec. Woodruff

Asportazione del cute\ mucosa del vestibolo vulvare da effettuare solo dopo insuccesso di tutte leterapie mediche

Laser vestibulectomia

Si usa il Flashlamp-excited Dye laser. Il laser CO2 è nettamente controindicato.

PATOLOGIE NON IDENTIFICABILI CON LE VULVODINIE
Vulvovaginite infettive (Candida, Trichomonas V., Herpes simplex, Herpes zooster, Batteri vari patogeni)
Vaginosi batteriche (Gardnerella, Anaerobi)
Vaginosi citolitiche (Doderlain in eccesso)
Lattobacillosi (Lattobacilli anaerobici non produttori di H2O2)
Impetigo
Vaginite infiammatoria desquamativa (Streptococco?, Tossine batteriche?,Disordini immunitari topici con colpite simile a quella da T.V.)
Condilomatosi (Papillomavirus)
Mollusco contagioso (Poxvirus)
Dermatiti da contatto acute e croniche (Sostanze varie)
Atrofia (Carenza estrogenica)
Fissurazioni traumatiche alla forchetta ed eritemi postcoitali (Trauma da coito con ipolubrificazione)
Psoriasi
Dermatite seborroica
Lichen simplex chronicus
Lichen planus
Lichen sclerosus
Iperplasia a cellule squamose
VIN e Neoplasie invasive
Malattie sistemiche con localizzazione vulvare (Malattia di Bechet, Sindrome di Reiter, Lupus ecc.)

Vaccaro F. 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' molto importante la scrupolosa osservazione di una serie di CONSIGLI IGIENICO SANITARI al fine di alleviare, e talvolta risolvere la sintomatologia. Questa serie di consigli sono utili in caso di vulvodinie e nelle candidosi recidivanti.

 

LICHEN SCLEROSUS

Il lichen sclerosus rappresenta oltre il 50% dei disordini epiteliali non neoplastici. Si tratta di una malattia che insorge anche se non esclusivamente in età avanzata ed interessando quasi esclusivamente i genitali esterni. l'aspetto clinico è quello di una intensa "atrofia" cutanea che porta alla stenosi dell'introito vaginale,scomparsa delle piccole labbra ed incappucciamento o conglutinamento del clitoride. Nella cute spesso glabra e grinzosa sono presenti lesioni da grattamento che possono generare petecchie ed ecchimosi. La genesi è di tipo autoimmunitario anche se la carenza di estrogeni assoluta o "relativa locale", può avere un ruolo importante Si è anche osservata una predisposizione familiare. Non vi è evidenza che si tratti di una vera e propia lesione precancerosa, anche se tali patologie se non trattate possono a lungo termine portare a VIN3 ed oltre. Il trattamento si basa principalmente sull'uso di corticosteriodei topici. Questa patologia può interessare anche i genitali maschili causando una restrizione della cute del glande con o senza cheratosi: lichen anulare.

TERAPIA: la terapia consiste nella eliminazione,ove noto, dell'agente irritante, e terapia topica con corticosteroidei. Il trattamento di seconda scelta è chirurgico.

IMMAGINI VULVOSCOPICHE

CONDILOMATOSI FLORIDA VULVARE

PICCOLO CONDILOMA FLORIDO ED ISOLATO DELL'INTROITO VAGINALE A CARICO DELL'IMENE

CONDILOMATOSI MICROFLORIDA DELLA FORCHETTA

HERPES GENITALIS: INFEZIONE PRIMARIA

HERPES GENITALIS: INFEZIONE SECONDARIA

LINEA DI HART DOPO LUGOL

LESIONE VIRALE DA HPV LUNGO LA LINEA DI HART

PAPILLE FISIOLOGICHE DELL'INTROITO

Le papille dell'introito sono formazioni da considerare fisiologiche, anche se a volte stimoli di varia natura le rendono particolarmente ipertrofiche come in questo caso.

DISTROFIA IPERPLASTICA ED ULCERAZIONE

DISTROFIA IPERPLASTICA E FISSURAZIONI ALLA FORCHETTA

LICHEN SCLEROSUS E MELANOSI

Incappucciamento del clitoride a causa della lichenificazione ed area scura,iperpigmentata causata da una melanosi.

NEOFORMAZIONE PERINEALE

NEOFORMAZIONE PERINEALE

Si tratta di un banale comedone.

VERRUCA SEBORROICA

CONDILOMATOSI VULVARE

CONDILOMATOSI VULVARE E TERAPIA FISICA DISTRUTTIVA

LETTURE CONSIGLIATE

Colposcopy Textbook and Atlas -Principles and Practice- Saunders Ed.

Colposcopia -clinica e pratica- Elsevier Ed.

Lesioni precancerose del basso tratto genitale femminile - colposcopia, patologia e trattamento- CIC edizioni internazionali

SITI WEB

International Society for the Study of Vulvar Disorders (ISSVD)

Vulvar Pain Foundation (VPF) 

National Vulvodynia Association (NVA)

VULVODYNIA.COM

The Association for Lichen Sclerosus and Vulval Health
 

 

 

Per contatti e consulenze potete usare la posta elettronica

 

Ultimo aggiornamento:  18-01-16

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